PROLOGO: Si chiamava Morlockworld, e si estendeva come un
labirinto sotto l’ignara New York City.
Una definizione alquanto
corretta, visto che il Morlockworld era una città sotterranea, un immenso rifugio
antiatomico concepito durante gli anni della Guerra Fredda. Uno
dei tanti progetti nati sull’onda della paranoia politico-istituzionale dell’epoca,
e poi abbandonati, dimenticati…
Ma non inutilizzati.
Anche fra i derelitti della società, i poveri, i malati, i
disadattati, circolava una leggenda metropolitana, quella dei mostri che
vivevano ancora più in basso delle fogne e dei tunnel che erano la loro casa. E avevano ragione, in un certo senso.
Il Morlockworld era stato
scoperto e reclamato dai mutanti, da
gente in fuga da un tipo di persecuzione ancora più crudele del razzismo.
Nascosti alla vista dell’uomo comune, protetti dal segreto, i morlock avevano prosperato, si erano dati una società a suo modo
ordinata, civile…
Poi, erano arrivati i Marauders, ed era iniziata la caccia, il
massacro…
I morlock si ripresero a stento
da quell’orrore, solo per subire altre gravi perdite in una seconda battaglia. E il loro mondo fu invaso da nuovi stranieri, da quei
derelitti che li avevano sempre temuti e che ora avevano il territorio per
loro.
E dal Popolo
Ombra, un nucleo dei più feroci e pericolosi lupi mannari, quelli che traevano la loro forza dal male del Darkhold.
Per qualche tempo, sotto
l’onnipresente minaccia dei lupi che li predavano per
mangiarli, umani e morlock avevano trovato un equilibrio di convivenza.
Poi era arrivato Blade, il Demogorge, l’uccisore di
mostri. In caccia di qualunque portatore delle energie del
Darkhold, Blade aveva sterminato i lupi del Morlockworld. L’intervento in forze
del potente Power Pack aveva
scacciato l’uomo-demone, anche se troppo tardi per il Popolo Ombra, e riportando
una grave ferita per il capobranco[i].
In seguito, il branco si era
separato in due, con la maggior parte di loro in una missione in Europa[ii], e i
rimanenti cinque rimasti nel
Morlockworld alla ricerca di eventuali sopravvissuti
della loro gente.
La loro ricerca
li aveva portati in conflitto con un gruppo di morlock intenti ad
attentare alla vita di un giovane mannaro, Nicholas
Gleason. E proprio quando la battaglia stava
volgendo a favore dei lupi, un terzo contendente era intervenuto, catturando
loro ed i mutanti sopravvissuti: umani, militari provenienti da quello che
sembrava essere il vero nucleo centrale del Morlockworld[iii].
Umani che, senza saperlo, si erano infilati da soli in un guaio davvero grosso…
MARVELIT presenta
POWER PACK
Episodio 24
- Arsenal!
“Grazie per averci portati
nella vostra tana, signori,” disse Jon Talbain,. “Ora,
intendete sottomettervi pacificamente, o dobbiamo cominciare a giocare duro?”
Parole arroganti? Forse, considerando che da una parte c’erano quaranta fra uomini e
donne armati fino ai denti e decisi a difendersi fino all’ultimo di loro.
Dall’altra, c’erano solo cinque morlock svenuti, fra cui uno di loro dalla
pelle composta di oro e conformata come un’armatura.
Cinque morlock svenuti e quattro
lupi mannari perfettamente svegli e tosti:
Ø
Jon Talbain, Campione del Popolo, e capobranco ad interim di
quella squadra, maestro delle arti marziali del drago.
Ø
Maximus Lobo,
mannaro fra i più massicci e cattivi, nonno del
celebre Carlos Lobo.
Ø
Volk, l’unico
licantropo artificiale al mondo.
Ø
Il Predatore nel Buio, Deviante lupino dalla rara struttura genetica
stabile. Il più forte di questi quattro.
L’uomo più vicino a loro, un
cinquantenne con i gradi di sergente sulla divisa verde militare, di fronte a quelle
creature che stimolavano le sue paure più ancestrali,
urlò, “Sparate, maledizione! È un ordine, fu…”
Una voce amplificata lo
interruppe a metà parola. “Contrordine, Sergente Colby. Soldati, abbassate le
armi.” Era una voce dai toni quieti e fermi insieme,
la voce di uno abituato a farsi obbedire.
E i soldati obbedirono, impassibili, anche se non
abbandonarono la loro posizione.
“Non è necessario essere…rudi
con questi particolarissimi ospiti, Sergente,”
continuò la voce. “Per favore, li scorti al mio ufficio, piuttosto. Sono
impaziente di incontrarli.”
Colby serrò i denti, ma disse,
disciplinatamente, “Sissignore.” Guardò i quattro lupi
con astio, e disse loro, “Seguitemi, per favore.”
Il quartetto si scambiò una
rapida occhiata, e quando il capobranco seguì l’uomo, gli altri si accodarono.
Proseguirono lungo un dedalo
di corridoi. Chiunque avesse progettato questo posto, aveva
ottimizzato lo spazio in una struttura concentrica.
Ma quello che lo disturbava veramente era il non sapere
di questa struttura: come Sidar-Var del Popolo, doveva essere informato su
simili attività. La sua ignoranza, in questo caso, rifletteva quella del
Popolo, e non gli piaceva per niente…
Se i loro sensi non fossero stati acuti, avrebbero
finito col perdersi. Non c’erano riferimenti visivi per distinguere i corridoi.
Gli abitanti dovevano andare a memoria, il che poteva volere dire…
Colby si fermò di fronte ad
una porta scorrevole identica alle tante finora incontrate. “Siamo arrivati,” disse, poi avvicinò gli occhi ad un pannello trasparente.
Il lettore retinale confermò la sua identità, poi la
porta si aprì.
“Avanti,”
disse una voce dai toni metallici. “Sergente, lei è congedato.”
I lupi, in fila indiana,
entrarono. Sebbene si stessero muovendo in un ambiente ed una situazione pieni di incognite, anche i loro ‘anfitrioni’ non sapevano chi
avevano di fronte, entrambi godevano dell’elemento sorpresa…
La porta si chiuse.
“Benvenuti, signori,” disse…
…l’uomo seduto dietro alla
scrivania. I nasi canini si arricciarono all’odore che quell’individuo emanava.
Era un odore sgradevole, che il quartetto assegnò senza dubbio ad un cadavere,
un odore di morte che neppure il disinfettante a cui era mescolato riusciva a
nascondere del tutto.
L’aspetto dell’uomo non faceva
che accentuare quell’impressione. L’uomo era anziano, un guscio di carne rugosa
e pallida. Sedeva su una specie di poltrona aerodinamica, alla quale era
fissato da una rete di tubi che spuntavano dalle braccia e dalla testa. Gli
avambracci sparivano dentro i braccioli. Un collare metallico con una griglia
al suo centro avvolgeva la gola, ed era da lì che usciva quella voce metallica,
senza che lui muovesse le labbra. “Sì, mi rendo conto che il mio aspetto desta
perplessità. Purtroppo, uno sgradevole…incidente mi ha costretto su questo
supporto vitale.
“A proposito, io sono il Generale Edmund Chambers, comandante di
questa base come avrete intuito. Sono davvero felice di vedere qualcuno di
così…diverso dai mutanti che abbiamo finora incontrato… Ma con chi ho il
piacere di parlare?”
Seguì un rapido giro di
presentazioni. Tanto valeva stare al gioco di quello strano individuo, per ora…
Quando tutti si furono presentati, Chambers posò il suo
sguardo immobile su Volk. “Nonostante il tuo apparato
vocale modificato, avverto un accento familiare…russo, vero?”
“Sì.” Meglio non dirgli subito
che, in una vita precedente, aveva lavorato per il KGB, prima di venire trasformato in quello che era da innesti di DNA
lupino…
“Russo…”
Chambers si rigirò quella parola come se stesse assaporando un vino pregiato.
“Venite dall’esterno, vero? Dalla superficie? Non abbiamo mai incontrato dei
morlock di ascendenza russa.” La sua voce, a quel
punto, si era tinta di eccitazione.
“Oh, wow…” fece il giovane
licantropo, seduto in groppa al lupo rosso dalla criniera nera, voltando la
testa.
Dietro di loro c’era la
massiccia porta di ingresso alla cittadella. Una porta
che avevano appena attraversato come se non fosse esistita! “Come hai fatto?”
chiese all’animale.
<Comincia col scendere
dalla mia schiena, Nicholas. Non sei proprio leggero,>
rispose mentalmente il lupo.
Nicholas obbedì. Il corpo
dell’animale tremolò per una frazione di secondo, prima di essere sostituita da
quella di un uomo in un costume rosso e nero, con una maschera che lasciava
scoperta solo la bocca. Il membro di più recente acquisizione del Power Pack, Nightwolf, si guardò intorno. “Non so come ho fatto, ragazzino: so solo che
quando mi sono ritrovato davanti a quella porta, pensando a come
entrare qui, la porta è diventata trasparente.
Tutto qui.”
“Non era trasparente. Era
solida, e quando ti sei messo a correrci contro, credevo ci saremmo rotti le
ossa.”
“Mettiamola così, Nicholas: io
di questi miei poteri ne so meno di te, quindi non chiedermi…” in quel momento,
le luci del tunnel si accesero all’unisono. Poi, entrambi udirono
il suono di un veicolo avvicinarsi rapidamente.
La reazione fu istintiva.
Nightwolf afferrò Nicholas Gleason per
un braccio e lo tirò a sé, appiattendosi contro una zona d’ombra, pronto a
scattare non appena l’occasione lo avesse richiesto…
Ma non fu necessario. Incredibilmente,
a meno che gli autisti di quel carro leggero non fossero ciechi, per quanto rigirassero
i fari, arrivando a puntarli direttamente su di loro, Nightwolf e Nicholas non
furono visti o rilevati. Eppure non erano
invisibili, si vedevano l’un l’altro senza difficoltà…
Finalmente il carro fece
retromarcia e si ritirò. Le luci rimasero accese.
Che
diamine stava succedendo?
“Voi chi siete?” chiese
Talbain.
La voce metallica ridacchiò,
sinistro contrasto con quel volto immobile e rugoso come una carta stradale.
“Dovreste averlo immaginato: noi siamo l’ultimo avamposto delle forze militari
americane, tutto quello che è evidentemente rimasto dopo la guerra.”
“Guerra..?”
fece Volk.
“La Terza Guerra Mondiale,
naturalmente. Noi siamo il Battaglione
Arsenal, soldati e personale mantenuto in conservazione criogenica dal
1957, nel caso dell’invasione dell’Unione Sovietica. Se gli USA avessero perso
la guerra, noi ci saremmo attivati, cercando di contattare
la catena di comando, per organizzare una resistenza, assistendo e reclutando i
rifugiati. E se le circostanze ci avessero costretto a farlo, avremmo attivato
tutte le nostre risorse per fare terra bruciata intorno al nemico, piuttosto
che lasciargli il controllo del nostro paese.”
“Cosa stai
blaterando?” fece il lupo russo. “Non c’è stata nessuna guerra, l’America…”
“È caduta,
non hai bisogno di mentirci, Volk. Noi non ci consegneremo, anche se
abbiamo sperato che le cose fossero andate diversamente. Un anno fa, il conflitto ha interrotto i segnali mandati dal
Pentagono. E sarebbe successo solo nel caso peggiore.
“Da allora, abbiamo esplorato
i rifugi antiatomici alla ricerca di sopravvissuti, ma abbiamo incontrato solo
dei mutanti e dei derelitti. Loro continuavano a mentire, a dire che l’America
era ancora un paese libero, che non erano stati i
russi ad attaccarci, bensì degli…alieni.” Impossibile determinare se ci fosse
disprezzo o no, nella voce, ma era chiaro che questo Chambers credeva in quello che diceva. “La devastazione deve essere
stata totale, se nessuno del comando centrale è riuscito a raggiungerci,
perciò, appena saremo pronti, ricambieremo il favore al nemico.”
Alieni! La Guerra dei Mondi, non poteva essere
altro, certo[iv]… Ma cosa c’entrava con il
delirio di questo…cadavere?
“Sei fuori
di testa, scimmia,” ringhiò Lobo. “I soli russi lassù,”
e col pollice indicò il soffitto, “sono i turisti ed i residenti. Ma non avete telecamere o roba del genere, fra tutte le
vostre attrezzature?”
“Non siamo esploratori Mr.
Lobo. Siamo soldati, volontari con uno scopo preciso: liberare gli USA o
renderli inutilizzabili. Altri Battaglioni Arsenal attendono il loro momento,
in sedi separate: osservate, prego.”
Il pavimento si accese sotto i
piedi dei lupi, che si trovarono a fissare una mappa degli Stati Uniti… Una
mappa su cui brillavano dozzine di puntini intermittenti.
Uno dei quali si trovava
nell’area del Morlockworld.
“L’idea originale di Terra
Bruciata era stata sviluppata da Howard Stark, che contribuì
alla creazione dell’originale robot Arsenal e della prima intelligenza
artificiale, la Padrona.
“Ma quello che ne’ Stark ne’ il suo governo sapevano era che qualcun altro fosse interessato a tale
progetto. Un’organizzazione-ombra, che temendo un caos politico a causa di una
nuova guerra mondiale, decise di creare le basi perché nessun nemico potesse godere dei frutti di quel conflitto se l’America avesse
perso. Cioè i Battaglioni Arsenal.”
“Che razza di organizzazione avrebbe concepito
una simile follia?!” esclamò Volk. Sapeva dei sistemi del ‘giorno
del giudizio’ che entrambe le superpotenze, durante la Guerra Fredda, avevano
concepito perché nessuno l’avesse vinta. MAD, Mutual Assured Destruction. Mostruoso, ma semplice: l’uso di tutte le testate nucleari, lanciate
in modo indipendente in caso di distruzione della catena di comando.
In risposta a quella domanda, alla mappa americana si
sovrimpose una bandiera: un rettangolo bianco al cui centro spiccava un cerchio
di altre bandiere, quelle di USA, URSS, Canada, Brasile, Sud Africa, Italia,
Regno Unito, Francia, Germania, Cina, Giappone, Israele, Arabia Saudita. Al
centro di quel cerchio stava uno
stilizzato globo terracqueo raffigurante l’emisfero boreale, globo a sua volta
circondato da rami di alloro avvolti intorno a due
spade.
“Visto che
saperlo non farà alcuna differenza, a questo punto,” disse Chambers, “eccovi la
risposta: lo Stato, un’organizzazione
delle più influenti figure culturali, economiche e politiche dei paesi qui
rappresentanti, figure capaci di guidare la direzione del mondo come se fossero
esse stesse, appunto, un superstato.
“Lo Stato nacque nel 1945,
all’indomani della distruzione di Hiroshima e Nagasaki. I suoi membri
ritenevano che, con l’avvento delle armi atomiche, il mondo si fosse portato troppo
vicino all’orlo dell’autodistruzione assoluta: nessuno dei suoi membri si illudeva che l’escalation
nucleare non progredisse, che la pace da quel momento sarebbe diventata un bene
raro.
“Così, questi individui
decisero di prendere il destino dei loro simili nelle proprie mani, creando
governi, influenzandone altri, tirando le fila in modo che i loro interessi
coincidessero con uno status in cui il mondo continuasse a tirare avanti,
vicino all’abisso ma senza che compisse l’ultimo passo.”
Un sospiro metallico. “Ma non ha funzionato, come temevano.
Alla fine, gli interessi di parte hanno prevalso sul buon senso. E toccherà a noi dire l’ultima parola. Abbiamo sperato di
potere replicare il principio che regola i poteri di questi mutanti nati dalle
radiazioni della guerra nucleare, ma quello che abbiamo ci basterà.”
I lupi erano rimasti, per una
ragione o per l’altra, affascinati da quelle parole. Talbain perché queste
informazioni potevano rivelarsi estremamente utili per
la sua gente. Volk perché provava una perversa ammirazione
per questo sistema che era sfuggito ai suoi superiori del Cremlino. Lobo perché intravedeva possibilità non indifferenti per la sua
multinazionale, la LoboTech.
Il Predatore perché neppure il suo popolo, i Devianti, era riuscito in una
simile impresa... Se gente come Ghaur[v]
avesse stretto un patto con questo Stato…
Jon si mise
sull’attenti, poi fece un inchino. Con tono ironico, disse, “Generale
Chambers, la ringraziamo per quanto ci ha detto
finora. E saremo molto lieti di trasmettere queste informazioni a chi di dovere. Vorrei che avesse capito di essersi
sbagliato sull’attuale status del mondo, ma immagino che dovremo farglielo
capire con la forza… Perché non permetteremo a lei o al suo ‘Battaglione
Arsenal’ di entrare in azione.”
Chambers rise, mantenendo
quella grottesca immobilità facciale. “In quattro contro l’intero complesso?
Non so se chiamarvi coraggiosi o pazzi…ma visto che continuate ad insistere su questa assurdità di un mondo ancora in pace, propendo per la
seconda ipotesi. Voi non*” non ebbe neppure il tempo
di finire la frase: così veloce che quasi sembrò essersi teleportato, il
Predatore nel Buio scattò in avanti e con un solo colpo di artigli allo stesso
tempo decapitò Chambers, gli cavò via il braccio destro e fece a pezzi parte
dello schienale della poltrona!
Come c’era
da aspettarsi, non una goccia di sangue schizzò dal corpo morto.
Maximus Lobo scattò verso la
porta, e la demolì con una sola, potente spallata. Allo stesso tempo, attraverso
l’interfaccia mentale, Volk comandò all’armatura di sganciarsi dal suo corpo…
…E di riconfigurarsi in un
enorme fucile, la cui canna triangolare terminava in tre lame ad ‘L’ affilate. Il licantropo rimase vestito di un’uniforme
nera imbottita, dal tessuto rinforzato in vibranio.
Talbain prese uno dei nunchaku
che teneva appesi in vita. I lupi schizzarono fuori, mentre gli allarmi
suonavano all’impazzata.
“Volk, devi guidarci al cuore
di questo complesso.”
“Ci sto già lavorando.” Ilya,
in testa al branco al fianco di Jon, studiò un display sul dorso dell’Unigun. Sempre attraverso la
psi-interfaccia, aveva chiesto ai sensori di cercare le tracce che li avrebbero
guidati a destinazione, partendo dai condotti e dalle emissioni neutriniche. Se aveva immaginato giusto, questo posto doveva usare un
reattore nucleare per funzionare… “Bingo! È proprio sotto le nostre zampe, a
venti metri.”
In quel momento, un gruppo di otto soldati si parò davanti a loro. Gli uomini fecero
fuoco senza perdere un secondo, usando mitragliatori modificati e proiettili a
punta cava caricati a mercurio -un volume di fuoco sufficiente a macellare lo
sventurato di turno…
…E che, invece, si infranse contro la barriera
di fuoco mistico eretta da Talbain! “Volk, pronto?”
Il lupo russo puntò la sua
arma. Ghignava in anticipazione. “Solo un paio di secondi...”
L’Unigun emetteva un ronzio crescente, mentre scintille di energia
scoppiettavano sempre più intense, sempre più numerose, nella bocca da fuoco… E
quando il display indicante la potenza raggiunse il 100%, disse, “Pronto!”
“Ora!”
Volk premette il grilletto
nello stesso istante in cui la barriera fu abbassata. L’Unigun vomitò un
abbagliante torrente di energia, che crepitò nell’aria
come un potente fulmine!
I
soldati videro solo una grande luce riempire il loro
mondo…prima di venire consumati da essa!
Sullo schermo, l’esplosione
scavò uno squarcio in quattro sezioni del complesso a spirale. Ormai gli
allarmi erano una cacofonia incontrollabile.
Nella sala comando, il
personale si scambiava commenti allarmati. Erano stati
completamente colti di sorpresa, nessuna delle misure standard si era
rivelata efficace di fronte a soli quattro individui!
Un uomo con il grado di
Capitano si rivolse ad un suo subordinato. “Tenente Orson, dirami ai nostri
uomini l’ordine di disimpegnarsi. Inutile sprecare altre vite. E dia immediatamente l’ordine alle unità meccanizzate di
entrare in azione. Non correremo altri rischi.”
Mentre
gli ordini partivano, l’uomo si chiese perché mai Chambers avesse permesso a
questi mostri di arrivare fino a quel punto! Dovevano essere uccisi subito…
“Si scende di qua,” disse Volk, osservando prima il display ancora una volta,
poi l’ampia scalinata davanti al branco.
Nessuno si illudeva
che sarebbe stata una passeggiata: il fatto che i militari, i ‘Greenies’, come
li aveva chiamati Nicholas, avessero smesso di gettarsi al macello non
significava che si fossero arresi…
I lupi scesero le scale senza
perdere il ritmo. Jon desiderò che il Power Pack fosse al gran completo, per
poterne mandare una metà alla ricerca dei mainframe… “Volk, Karnivor[vi]
aveva detto che il computer dell’Unigun può
interfacciarsi a qualunque sistema informatico…”
“Mi hai letto nel pensiero: i
computer che devono monitorare l’attività della centrale energetica non possono
non essere collegati al mainframe. Da lì, sarà come trovarsi nel cuore
informatico di questa gente.” Il resto del discorso
non detto era chiaro a tutti: mentre Volk scaricava i dati, non avrebbe anche
potuto combattere, e sarebbero rimasti in tre…
Dannazione, Nightwolf, dove sei?!
Davy Hutch non era un cuor di
leone. Prima di diventare Nightwolf, e solo per avere rubato la merce sbagliata
per pagarsi una dose, era un piccolo spacciatore abituato a fuggire dalla legge
e da qualunque altro problema.
Dal momento in cui aveva scoperto
di essere ‘invisibile’ e di potere trasmettere questa
dote al giovane Nicholas, era stato più che felice di restarsene dov’era,
sissignore! Erano gli altri ad essere tosti, non lui! E poi, quel cristone di Max Lobo sembrava essersi
affezionato a questo cuccioletto, quindi perché non tenerlo lontano dai guai?
Proprio…
L’ennesima ripetizione di quel
mantra, ormai diventato più un esercizio di autoipnosi,
fu bruscamente spezzato da una ‘voce’ che risuonò non nelle sue orecchie, ma
nella sua mente!
Dannazione, Nightwolf, dove sei?
“Talbain?” rispose
istintivamente, guardandosi intorno.
“Sono tornati?” disse Nicholas
al suo fianco.
“No,
non sono…” qualunque cosa volesse dire, Davy non
spiccicò parola. Si sentiva improvvisamente preda di una crescente irrequietudine. Il cuore batteva forte,
e si sentiva sudare freddo. Ansia allo stato puro, come se solo il pensare a
quel licantropo lo facesse fremere per lui… Ma è ridicolo, non sono mica innamorato di lui! Eppure,
si sentiva preoccupato, troppo per poterlo ignorare. E sapeva perché… Devo aiutarli, sono in pericolo! Se solo sapessi
dove sono..!
Il laser al calor bianco
terminò di scavare un riquadro nell’acciaio, e la porta blindata cadde in avanti,
i bordi fumanti.
“Proprio come immaginavo,” disse Volk, osservando la cittadella nella cittadella, il
complesso che le dava energia. Il design era per forza di cose datato, ma tutto
funzionava alla perfezione, tutto automatizzato.
E fragile: il cuore di una centrale a fissione era il
suo sistema di raffreddamento. Se saltava quello, la
temperatura del nocciolo sarebbe salita fino a fondere le protezioni, e il
calore avrebbe generato incendi, le radiazioni si sarebbero diffuse per tutto
il complesso o buona parte di esso… Sarebbe bastato un colpo solo bene
assestato…
“Coraggio, Volk. Interfaccia
l’Unigun e scarica i dati. Noi pensiamo al resto.”
Il lupo russo si affrettò ad
obbedire. Esaminò i terminali, fino a trovarne uno che lo soddisfacesse.
Erano macchine molto avanzate, per essere state realizzate negli anni 60, ma comunque abbastanza semplici da essere hackerate senza problemi.
Volk prese un dispositivo di trasmissione wireless e lo collegò ad una porta.
Attivò il collegamento…e tutto si spense! Di colpo, il ronzio delle macchine
cessò, le luci morirono, e allo stesso tempo una nuova lastra d’acciaio scese a
sostituire quella appena tagliata La stanza piombò nel buio più completo. Si udiva
solo il sinistro ronzare del reattore.
“Non sono stato io!” si
affrettò a dire Volk. “Deve esserci un sistema di shutdown in caso di intrusioni…”
In quel momento, nei locali
rimbombarono, lenti ed implacabili, dei potenti passi metallici! Almeno tre paia di piedi, e dovevano appartenere a
creature grosse… Per fortuna, vederci
non era un problema: i macchinari emettevano comunque
abbastanza radiazioni infrarosse da inondare di ‘luce’ l’ambiente.
“Osservazione corretta, Volk,” disse la voce metallica di Chambers. Una
voce proveniente da uno dei tre enormi robot
che si stavano avvicinando da tre direzioni diverse. Ognuna di quelle macchine
doveva essere alta più di tre metri, e sembrava davvero un arsenale ambulante!
Tony Stark avrebbe riconosciuto in quei bestioni una variante del robot Arsenal che i Vendicatori avevano a loro tempo affrontato[vii]…
“Questo sistema sa proteggersi contro gli ospiti indesiderati.”
Il lupo russo sollevò la sua
arma a mirare contro il robot più vicino…e un enorme pugno metallico gliela
strappò di mano con irrisoria facilità! L’Unigun si piantò contro uno schermo a
vuoto, che nell’implosione emise una nuvola di fumo acre.
“Nyet! Come può essere così vel*Yowlp!*” lo stesso
arto lo colpì in pieno petto, scaraventandolo all’indietro, contro una
fila di pannelli. L’impatto li distrusse, e Volk rimbalzò a terra, dove vi rimase,
stordito…
“Tu, lurido..!”
Maximus si gettò contro il robot più vicino a lui, imitato dal Predatore…ed
entrambi furono ricompensati con una violenta scarica elettrica! Talbain li
vide rovesciarsi a terra, emettendo fumo dalla schiena.
I tre Arsenal voltarono la
testa all’unisono verso l’ultimo lupo. Adesso sì che erano guai!
Talbain unì i suoi nunchaku in
una staffa argentea, che si allungò per due metri. Si chinò leggermente in
avanti, flettendosi sulle ginocchia, muovendosi lentamente in un semicerchio,
preparandosi alla prima mossa di quei mostri…
Non poteva fare affidamento
sul loro linguaggio corporeo. Un mammifero avrebbe telegrafato involontariamente
le sue intenzioni, ma con i robot doveva fare affidamento sul suo istinto, doveva essere lui
a stuzzicare loro…
La tattica delle macchine era
di aspettare che in questo caso fosse il loro avversario a muoversi per primo,
o avrebbero scatenato un inferno nel momento in cui
erano entrate in scena. I loro padroni dovevano essersi tardivamente accorti di
quanto fosse rischioso dare battaglia nella sala del
reattore…
Talbain continuò a muoversi,
assicurandosi di dare la schiena al reattore. Avrebbe scommesso la pelliccia
che avrebbero usato armi a corto raggio, in quella
situazione…
Via!
Scattò in avanti, velocissimo,
una macchia indistinguibile.
Gli Arsenal spararono ognuno una nube di gas dalla bocca.
La staffa balenò in un ampio
arco, mentre Talbain passava basso fra le gambe dei robot, appena sfiorato dal
loro gas.
Si fermò e si voltò, una mano
artigliata tesa protesa in avanti, la staffa dietro la schiena…
I robot si voltarono…solo per
cadere in avanti, con le gambe tranciate di netto!
Purtroppo, al lupo non era
andata bene come voleva: dalla sua pelliccia si stavano levando rivoli di fumo
acre…rivoli che venivano dalle macchie di pelo che si stava consumando come se
stesse bruciando. E la carne esposta sfrigolava orribilmente…
Acido molecolare! Il fattore
di guarigione accelerato stava già entrando in azione, ma il dolore era ancora
terribile…
Gli occhi dei robot
brillarono. Talbain evitò le prime due scariche elettriche saltando via, ma la
terza lo colse in pieno sul torace! Anche se il sigillo del Sidar-Var lo
protesse da morte certa, fu comunque scaraventato con
forza contro un terminale.
Uno degli Arsenal,
sollevandosi sulle braccia, puntò i cannoni sulla schiena contro Talbain. E fece fuoco.
Talbain vide i due proiettili
volare contro di lui, in quel pazzesco ‘rallentatore’ che qualunque anima
mortale prova di fronte alla vista della sua morte
imminente…
E, invece, i proiettili lo attraversarono. Con sua non poca sorpresa, il Sidar-Var li vide
esplodere e distruggere una consistente porzione del muro e del materiale
elettronico dietro di lui. Subito dopo, suonò l’allarme antincendio, e una
fitta pioggia iniziò a cadere dal soffitto.
Quella sarebbe stata l’ultima
mossa degli Arsenal.
“Sorpresa, teste di latta!”
abbaiò Lobo, piantando un pugno nel cranio di un robot. La stessa cosa fece il
Predatore con il secondo; il metallo fu sfondato come latta!
Poi, dall’ombra di Jon, come
da una pozza d’acqua, emersero le figure di Nightwolf e Nicholas!
“Tutto bene gente..?” fece l’umano, solo per essere spinto bruscamente di
lato da Talbain, che si era alzato in piedi, allungando la mano alla sua
staffa, ruggendo un “Attenti!” e contemporaneamente lanciandola roteando contro
l’ultimo robot, che stava prendendo la mira. L’arma si piantò direttamente nel
cranio come una freccia. Archi voltaici si levarono dalla ‘ferita’,
poi il robot si accasciò.
Lobo si
‘spazzolò’ i palmi. “Facile. Anche troppo, a dire il
vero. Li credevo più tosti, questi secchi.”
“Teoricamente, lo sono davvero,” disse attraverso gli altoparlanti la voce di Chambers. “Li
ho trattenuti, così come ho ordinato al resto delle forze della base di cessare
ogni ostilità.”
“Chi sei?” chiese Volk, recuperando
la sua arma.
“Sono il Central Headquarters Administrator of
Military Bio-units, Energy and Resources Systems. CHAMBERS, appunto. Il ‘computer
centrale’, detto in modo più semplice.
“Gli uomini che avete
incontrato sono reduci da un lungo stato di semi-ibernazione. Furono portati
qui che erano dei semplici bambini, e chiusi in capsule nelle quali crebbero ad
un ritmo rallentato. Erano stati fatti nascere con un solo scopo e niente
doveva distrarli. Per loro, il mondo in cui erano
nati, è effettivamente scomparso: una delle mie subroutine ha fatto loro un
profondo lavaggio del cervello durante il lungo sonno, facendo loro dimenticare
della breve vita precedente, instillando in loro una maniacale dedizione a
uccidere il nemico, ma anche ad obbedirmi senza indugio…”
“Una delle tue subroutine?”
fece Lobo, dubbioso. “Parli come se avessi più personalità.”
“In un certo senso, è così:
per assicurarsi che un incidente non danneggiasse completamente la sequenza dei
programmi, i miei creatori hanno strutturato la mia IA
in moduli separati e capaci di decisioni indipendenti. Purtroppo, la complessità
del mio sistema era eccessivamente elevata per i miei creatori. Pochi, insignificanti errori hanno portato una porzione di me,
quella che ora vi sta parlando, a prevalere spontaneamente sulle altre.
“Ma ‘prevalere’ non
significava, purtroppo, ‘dominare’. Le altre
subroutine continuarono a fare il loro lavoro meccanicamente, ignorandomi,
escludendomi quando ci riuscivano. Ho ordinato un’esplorazione del rifugio per
ritardare l’ora dell’attacco, ma sapevo che non
sarebbe durata per sempre.
“Il vostro arrivo ha
disorientato i miei altri moduli, e decisi di usarvi
per sovrascrivermi alle loro priorità. Attraverso il nostro colloquio, avrei
provato che il programma Terra Bruciata era da rinviare al giusto momento.
Purtroppo, l’eliminazione della mia interfaccia biologica ha ridato il temporaneo
controllo ai moduli più aggressivi.”
“Mi dispiace,”
brontolò il Predatore nel Buio.
“E
non potevi usare un’altra ‘interfaccia’ per spiegarti, invece di nasconderti e fare
questo casino?” chiese Lobo, indicando i robot distrutti.
“Come vi ho già detto, quella
è stata opera dei miei moduli da difesa, che hanno anche dominato parte del
nostro primo colloquio. Quanto all’interfaccia biologica, il
Generale Edmund Chambers, lui si era sacrificato per essere il primo e l’unico
nel suo genere. Era il Direttore di questo progetto, e ha voluto farne
parte fin oltre la morte.”
“Ti sei spiegato, Chambers”
disse Talbain. “Ma ora ti aspetti veramente che ce ne andremo
e ti lasceremo qui come una mina vagante? Questa base deve essere come minimo
smantellata insieme alle altre.”
La voce metallica rispose con
una distinta nota di serenità. “Non ci sono altre basi. Quelle che avete visto sono solo un progetto o rimaste allo stadio di rifugio. Qui
abita e vive l’unico Battaglione Arsenal. Ed è mia intenzione continuare a
proteggerlo e guidarlo in accordo allo scopo per cui
sono stato programmato.”
Solo a quel punto, i lupi si
accorsero di stare rapidamente perdendo le forze… La loro vista si stava
annebbiando, e l’aria stava sempre più puzzando di
chiuso…
Il sistema stava togliendo l’aria! La trappola perfetta, maledizione: a quella profondità, il modo più
incruento ed efficace per abbattere un nemico era di tagliarlo dall’aria, a
patto di non farglielo capire subito… E loro ci erano
cascati!
La voce di Chambers si stava
facendo lontana, distorta, come se stesse parlando nell’acqua. “Non voglio
scatenare una guerra, lupi. Proteggendo questi uomini, ho imparato a rispettare
il valore della vita, e sprecarla per niente è un crimine grave quanto iniziare
una guerra.
“Riporterò
questa gente al suo sonno, in attesa del conflitto
finale, e se esso non dovesse avvenire, almeno avrò compiuto il mio dovere. Non
ci saranno altri rapimenti di mutanti, nessun contatto
con l’esterno. I robot Arsenal proteggeranno gli armamenti ed il reattore. E con questo, non ho altro da dire. Addio, signori.” La voce
si spense. E così la luce per i lupi…
Fu il freddo a spingere
Talbain a riaprire gli occhi per primo. Il freddo dell’acqua
bassa in cui era adagiato.
Si mise a sedere di scatto…e
dovette soffocare l’impulso di vomitare. Era ancora stordito dall’asfissia.
Anche gli altri lupi si stavano riprendendo, chi grugnendo,
chi imprecando a fil di voce. “Cuccioli,” disse Lobo
scuotendo la testa. “Siamo stati giocati come poppanti di primo pelo…”
Jon si avvicinò al giovane
Nicholas, che si era messo gattoni. Gli allungò una mano per aiutarlo, e
Nicholas accettò volentieri. “Sai dove siamo?” chiese Jon. Il cucciolo aveva
speso diverso tempo nei labirinti sotterranei del Morlockworld.
Nicholas si guardò intorno.
“Nel livello più vicino alla superficie. Vedi quella targa?” Indicò una targa di ottone sbiadita e macchiata, su cui spiccava un
I
inciso a fondo. “Il Primo Livello.”
Un po’ tutti quanti annusarono
l’aria, in cerca degli odori della gente che li aveva portati qui…ma non
percepirono nulla.
“Inutile frustrarci a cercare
di nuovo quel posto,” disse Talbain. “Avvertiamo il
Consiglio, che siano loro a decidere come
comportarsi...” e rivolse a Nicholas
un sorriso lupino ed una scodinzolata rassicuranti. “Abbiamo qualcuno più importante
di cui occuparci, ora.”
Nicholas ricambiò
istintivamente il sorriso. Non aveva osato chiederlo fino a quel momento, ma se
quel branco lo avesse potuto prendere sotto la loro
protezione…
Intorno al branco, si
manifestò all’improvviso un familiare simbolo luminoso…
…Il simbolo che era il sigillo di teletrasporto usato
da uno dei loro membri. E in quel sigillo, i cinque lupi più Nicholas sparirono…
…Per
riapparire, l’istante successivo, nella chiesa del culto licantropico di Starkesboro, Massachusetts.
La licantropa del Power Pack
di nome Ferocia fece scomparire il
mistico sigillo di teletrasporto.
“Bentornato a casa, branco,” disse la donna conosciuta come la Sacerdotessa. “Siamo felici di vedervi sani e salvi…e con un ospite
inatteso.” Sorrise a Nicholas, e il suo era il dolce
sorriso di una madre di fronte al figliolo ritrovato.
Nicholas si rifugiò prontamente
dietro le gambe di Maximus Lobo, facendo appena sporgere il volto.
La Sacerdotessa, uno dei
discendenti dei pochi umani che si erano votati alla causa del Lupo anima e
corpo fin dalla notte dei tempi, si avvicinò al giovane, e si accosciò davanti
a lui, facendo frusciare appena la sua veste dei colori dell’autunno. “Non hai
nulla da temere da me o da chiunque altro in questo posto, cucciolo. Noi ti
proteggeremo e ti aiuteremo a crescere sano e forte come un vero lupo. Fidati
di noi.” E tese una mano
delicata verso Nicholas.
Il giovane, esitante, la
sfiorò appena, per poi ritrarla di scatto.
La Sacerdotessa annuì e si
mise in piedi. Con la stessa serenità di prima, guardando Lobo negli occhi, disse, “Avrà bisogno di una famiglia. Per adesso, intuisco
che tu sei la sua figura paterna; abbine cura, Maximus, ma assicurati che non
sia mai separato da un branco.”
Silenziosamente, il massiccio
licantropo dalla cresta d’argento annuì. La Sacerdotessa si rivolse a Talbain,
che si mise prontamente su un ginocchio. “Ci penserà Volk a fare rapporto al
Consiglio, Sidar-Var. Oh, e anche Nightwolf dovrà essere presente.”
All’uomo scesero le spalle.
“Chissà perché, me lo aspettavo.” Come minimo, si
aspettava l’equivalente della corte marziale per essersi tenuto lontano
dall’azione fino all’ultimo. Cavolo..!
“Jon, puoi andare, adesso. C’è
una persona che desidera incontrarti urgentemente.”
Lui scosse le orecchie in
perplessità, ma non commentò. I Votati del rango della Sacerdotessa erano, per importanza, secondi solo al Consiglio del Popolo. E, comunque, aveva solo voglia di sbrigarsi con questo
colloquio improvviso e andare a riposarsi…
Appena aprì la porticina incassata nel portone, tuttavia, i
suoi occhi si spalancarono di colpo, ogni traccia di stanchezza svanita come
neve al sole. Il suo cuore si riempì di una gioia così grande che per poco non
proruppe in un ululato. Invece, gridò solo un nome. “Rahne!”
Lei era lì, dalla folta
pelliccia di un rosso quasi bruno, vestita del suo costume arancione -se si poteva
chiamare tale lo stretto necessario più adatto ad evidenziare che a nascondere le sue forme- bella come non mai e profumata di cannella e
selvatico.
Lei ebbe appena il tempo di
fare un paio di passi, prima di ritrovarsi stretta fra le braccia
di lui. I due giovani fidanzati si scambiarono colpi di lingua sul
collo, sul muso, fra le orecchie, esplorandosi con le mani artigliate,
emettendo mugolii intensi, persi solo l’uno nell’altra, ignari del resto del
mondo…
Finalmente si separarono, ma
solo per potersi fissare negli occhi. “Sacra Gaia,”
quasi uggiolò. “Mia Rjein, non sai
quanto mi sei mancata… Mi sentivo così solo, senza di te…”
Lei lo poteva
immaginare, no…lo sapeva. Lo
leggeva nella sua voce, nel modo in cui la teneva stretta e la coccolava, allo
stesso tempo per farla stare bene e per sentirsi sicuro… Lui dipendeva da lei,
ora ne era più che certa…e ancora di più, lei stessa
sapeva di avere sofferto come non mai dentro di sé per questa, seppur
temporanea, separazione[viii].
Lo amava, e quando parlò, lo fece con la sicurezza di chi aveva preso una
decisione che non poteva più essere rimandata.
“Jon… Io voglio sposarti. Lo
voglio davvero.”